Bressan

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La Storia

Quella dei Bressan, come spesso accade quando si parla di terra, di vigne e di vino, è una storia fatta di nomi propri:
nomi di terre tradizionalmente vocate alla maturazione dell’uva - Farra d’Isonzo - ma soprattutto nomi di persone che con la loro fatica, tenacia e caparbietà hanno fatto crescere una tradizione secolare.
       

Se nei catasti teresiani rimane traccia dei primi coloni che, proprio con il vino, pagavano i dazi (tasse) ai signori locali, baroni de Bresciani (…da cui deriva il nome Bressan), il primo nome che racconta la storia della famiglia è quello del capostipite Giacomo BRESSAN, il quale, nato nel 1726, dette inizio alla nobile attività enologica;

   

da Maria, sposata nel periodo che va dalla storica pace di Aquisgrana (1748), alla soppressione del patriarcato di Aquileia (1751), ebbe il figlio Biagio BRESSAN (5 gennaio 1756 - 3 febbraio 1824).

Il turbine Napoleone, concludendo la sua fulminea campagna italiana, investì alla fine del sec. XVIII l’Europa intera, sconvolgendo anche il Friuli:
durante il periodo napoleonico, Farra fece parte del regno d’Italia (distretto di Gradisca, dipartimento di Passariano).

Citano i memoriali dell’epoca che Biagio convola a giuste nozze con Perressin Maddalena : da questa unione vedrà la luce Michele BRESSAN (24 gennaio 1780 - 28 ottobre 1807). Sotto la spinta del giovane erede Bressan, si specializzò ulteriormente l’attività di produzione vinicola.

La prematura morte di Michele, lascia vedova la moglie Caterina Trevisan di Bruma (ora Mercaduzzo, comprensorio fuori le mura di cinta di Gradisca) al quinto mese di gravidanza :

il nascituro successore della famiglia sarà battezzato con lo stesso nome del padre, Michele BRESSAN (9 febbraio 1808 - 20 febbraio 1850).

Nel frattempo, la fine repentina di Napoleone e del suo fittizio impero riportarono nel 1813 Farra d’Isonzo, come tutto il Friuli, sotto il dominio austriaco, come sancirà il Congresso di Vienna nel 1815. Tale situazione resterà sostanzialmente immutata, per Farra, fino all’inizio del primo conflitto mondiale.

L’intraprendenza del piccolo Michele si svela immediatamente, nonostante la sfortuna abbia voluto vederlo nascere già orfano di padre ed i momenti storici non fossero dei più felici, il giovane Bressan inizia con le prime vendite private;

sposa Simsig Maddalena il 28 / 11 / 1827 e con il suo aiuto e con quello di grandi intuizioni, continua a produrre vini di altissima qualità.

Sotto la spinta di episodi insurrezionali di sparuti gruppi patriottici di attivisti italiani, nel 1848, la parte occidentale del Friuli si alterna sotto il dominio italiano e quello austriaco svariate volte: Farra rimane sempre sotto l’ègida asburgica - d’altra parte i provvedimenti del governo austriaco erano sempre più rispettosi delle individualità etniche e tali da soddisfare egregiamente la maggioranza dei cittadini del paese.

Michele Bressan continua la sua fervida attività, ma in una freddissima mattina del 20 febbraio 1850, dopo aver caricato un carro di botti di vino pronte per la consegna, manovrando i cavalli di traino, cade sotto le ruote del pesante rimorchio, morendo schiacciato: il tragico incidente lascia orfano di padre, a soli 12 anni, il piccolo Domenico BRESSAN (28 agosto 1838 - 9 giugno 1915).

Ma non ci si deve dimenticare che nelle vene del piccolo scorre la tenacia e la combattività del sangue friulano dei Bressan: nonostante la giovane età, coraggiosamente porta avanti l’attività familiare, perfezionando ulteriormente le tecniche colturali.

Vede, alla fine del luglio 1866, l’armata italiana penetrare in Friuli, ponendo il suo quartiere generale a Pradamano (Udine); il 12 agosto dello stesso anno viene firmato a Cormons (Gorizia), l’armistizio fra l’Italia e l’Austria. Farra d’Isonzo rimane sempre sotto il dominio austriaco.

In seguito alla pace di Vienna del 3 Ottobre, l’Austria cedeva all’Italia il Veneto con la parte occidentale del Friuli. La nuova linea di frontiera stabilita fra i due stati, ricalcava ancora quella del Regno Lombardo Veneto, perpetuando così, anzi approfondendo, la fatale divisione politica e culturale del Friuli.

   
     

Correva l’anno 1864, quando Domenico (…”Menj” per gli amici) sposa Maria Lorenzon: da questa unione nasce Antonio BRESSAN (24 agosto 1869 - 14 marzo 1944), figura che si rivelerà di fondamentale importanza per il clan Bressan;
il prosecutore della dinastia Bressan si sposa (28 Nov.1896) con Maria Luigia Sandrin ( 9 maggio 1875 - 21 febbraio 1963), donna di grande spessore umano e di rara ricchezza interiore.

   
 

Nel 1915, Farra d’Isonzo è tragicamente segnata dalle vicende belliche della Prima Guerra Mondiale e dalle numerose battaglie che si combatterono proprio nel suo comprensorio.

   
   

Anche Antonio Bressan venne travolto dagli eventi bellici che lo videro, suo malgrado, partire per il fronte con la divisa austriaca: il primo conflitto mondiale fu una catastrofe per uomini e coltivazioni. Dalle tragedie familiari e dalle distruzioni fu possibile riemergere grazie alla grande laboriosità di Antonio, che riuscì anche ad ampliare considerevolmente le proprietà,

 
acquistando parte dei possedimenti già appartenuti alla famiglia dei Conti Zuppini, nobili gradiscani insediatisi a Farra d’Isonzo fin dal 1665, che dettero il loro nome anche alla borgata di Farra ove si stabilirono (…tuttora sede dell’azienda Bressan ).      

L’11 marzo 1944 viene a mancare Antonio Bressan ed i terreni devono venir divisi tra i sette figli Maria, Antonio, Angelica, Caterina, Emilia, Luigi BRESSAN (18 novembre 1904 - 4 febbraio 1994) e Valeria; ne consegue un inevitabile frazionamento della proprietà che sicuramente non aiuta Luigi e la consorte Maria Giuseppina Pecorari (16 settembre 1911 - 22 agosto 1992) a giocare un ruolo significativo per quanto riguarda un’ulteriore possibile sviluppo dell’azienda.

     
   

Ma a risollevare le sorti ci penserà il figlio Nereo G. BRESSAN (26 luglio 1932), figura che si rivelerà di capitale importanza per il rilancio e la specializzazione dell’attività di produzione vinicola.

Nel frattempo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale costringe il piccolo Nereo ad un’infanzia fatta di rinunce e privazioni che ancor più temprano il suo carattere già combattivo.

   

Il 2 dicembre 1961 sposa Paolina F. Spessot (15 gennaio 1931), nipote dello studioso Mons. Francesco Spessot, glottologo e storico di rango, autore di svariate pubblicazioni e saggi sul Friuli e le sue tradizioni.

Sono gli anni del riassetto postbellico, i tempi in cui la gente abbandonava la campagna per andare a lavorare nelle fabbriche, che l’affiatatissima coppia, dopo anni di pesante lavoro, con grande intuizione decide di investire il frutto dei loro sacrifici in un’attenta e meticolosa acquisizione di nuovi terreni altamente vocati alla coltura della vite: tra questi anche tutti gli appezzamenti già appartenuti al nonno, riuscendo così nell’intento di ricompattare tutte quelle proprietà per le quali già Antonio Bressan aveva dovuto tanto faticare.

           
     

Creata una solida base di possedimenti, Nereo, forte di un archivio di esperienze che affondava le radici in 7 generazioni di storia, può finalmente intraprendere il suo cammino: ci vollero sforzi notevoli per ripulire la zona, prima che i vigneti fossero impiantati. Tuttavia Nereo sapeva che tale impegno avrebbe dato i suoi frutti; infatti la straordinaria natura dei terreni, a cui fa da corollario un microclima eccezionale, sono i presupposti irrinunciabili per la creazione di grandi vini d’autore.

 
   

In queste tappe decennali di sviluppo impetuoso nasce Fulvio L. BRESSAN (3 agosto 1964),che si rivelerà grande amante della campagna e della viticoltura.
Dopo gli studi universitari, si dedica instancabilmente alla promulgazione internazionale dell’azienda: durante uno di questi viaggi

 
   

incontra l’affascinante Jelena Misina (27 ottobre 1976), donna dal carattere elegantemente pragmatico, che ultimati gli studi all’università, lo raggiunge immediatamente.
I due si sposano il 27 agosto 2000: l’accoppiata risulta immediatamente vincente ed i riconoscimenti dei vini a livello mondiale non tardano ad arrivare,

     
     

tanto che Fulvio viene nominato "Nobile dei Vini Friulani" dal Duca Emilio I alla presenza di tutta la Corte Ducale nella superba cornice di Villa Manin, in occasione della "Dieta estiva" del Ducato dei Vini Friulani.
È la nona generazione di “mastri vinai” creatori e custodi di una realtà produttiva che ha reso i Bressan apprezzati nel mondo.

E nella notte rinascono pallide tracce di carrarecce che vanno verso il passato, percorrendo l’antico asse viario romano che porta ai confini più orientali dell’impero a "FARRA d’ISONZO (Gorizia)" in una terra di leggenda e di lavoro che ferma nel tempo, colline, dove il verde vive e contrasta con la roccia arida, dove c’è una storia in ogni fiore, in ogni vite

     
 

della vigna, dove qualche tralcio non vuol morire ancora ai giorni nostri contorcendosi tra cespugli polverosi o vincendo la lotta in angoli di muro semidiroccati, dove uomini di frontiera respirano gli incontri della storia, la singolarità della natura e della poesia: una pagina aperta all’incontro tra l’uomo e la terra, una linea di storia che per i BRESSAN non si è spezzata mai.

 
     
 

Una storia scritta in una conca dove, nei giorni di maggiore vegetazione, è un ondeggiare di pampini di colore verde brillante, dove i pendii del Collio degradano dolcemente per aprirsi nella valle del fiume Isonzo, in un angolo di terra protetto a Nord dalle Alpi ed aperto a Sud ai venti caldi del mare Adriatico, dove un’eccezionale combinazione di elementi naturali (geografici, geologici e climatici) vanno a costituire un “terroir” unico ed irripetibile per la coltivazione della vite, si trovano i possedimenti dell’azienda BRESSAN.

 

Si sa che l’uomo da sempre ha imparato a scegliere le terre migliori per impiantare le proprie coltivazioni, così i terreni esclusivamente di proprietà BRESSAN, sono distribuiti in più corpi, occupando una superficie di circa 20 ettari.

Testimoni di una plurisecolare esperienza che ci insegna che il vino di qualità si fa in vigna e non nelle cantine, come per tanti anni si è creduto, abbiamo obbligatoriamente rivolto grande attenzione alla scelta dei cloni migliori da impiantare, a seconda della varietà e della tipologia del suolo, effettuando una meticolosa selezione massale praticata sulle nostre stesse vigne per ottenere un ulteriore miglioramento qualitativo nel rispetto della tipicità e della conservazione del patrimonio genetico naturale dei nostri vitigni.

 

Le barbatelle (piccole viti) furono messe a dimora in filari che rispettano le distanze e gli orientamenti ideali per impianti pensati nell’ottica di una produzione ridottissima d’uva di eccezionale livello qualitativo, secondo una filosofia che mira da sempre alla realizzazione di vini di altissima caratura.

   

Nello specifico, i nostri vigneti possono vantare una densità d’impianto di quasi 5000 ceppi ettaro, testimonianza tangibile di una politica tesa sempre ed unicamente ad un costante miglioramento.

 

In quest’ottica di produzione, fondamentale importanza viene attribuita alla potatura invernale, dove abbiamo adottato da sempre un sistema a Guyot singolo, pratica che ci consente di tenere un unico tralcio per vite con 4 o 5 gemme a frutto, predisponendo così ogni pianta a fornire circa 0,8 - 1 kg d’uva, risolvendoci in questo modo il problema di una indesiderata sovraproduzione di uve.

   

Ribadendo il concetto che un grande vino nasce da uve altrettanto selezionate, i presupposti sopracitati divengono condizioni irrinunciabili per chi, come noi, adotta una vinificazione che segue una linea naturale in cui la filosofia della non forzatura delle fasi di trasformazione, lascia ai lieviti selvaggi, naturalmente presenti sulle uve, il compito di una fermentazione spontanea che privilegia sempre la «tipicità», non tollerando assolutamente interventi e manipolazioni esterne: abbiamo conferma da quasi 300 vendemmie, che “ il grande vino d’autore” è un prodotto unico, figlio eletto di una evoluzione naturale che rispetta le antiche ritualità che mai trascurano il più piccolo, e solo apparentemente insignificante, dettaglio.

 

Pertanto il nostro ruolo di vinificatori si “ riduce ” al compito di seguire pazientemente il vino nel suo personale percorso di trasformazione come in un mosaico in cui ogni giorno si aggiungono dei tasselli per migliorare l’insieme: sta alla sensibilità ed alla consumata esperienza di lungimiranti mastri vinai accompagnarlo nel suo affinamento, con tempi e metodi specifici, per condurlo al momento magico della degustazione.

 

Sorseggiando attentamente una di queste perle, si percepisce che quella dei Bressan è una storia complessa, fatta di amore per ciò che l’immaginario collettivo chiama valori : 3 secoli di storia tramandata di padre in figlio rappresentano un patrimonio unico dove, il passato rivive ogni giorno, perché non è mai passato……
Ci sono produttori che ad un certo punto si sentono arrivati ed il traguardo è il business: altri che non si accontentano mai. Non dei soldi, ma del vino.

   

Vediamo sempre più frequentemente la stampa enologica applaudire vini immediati e spesso passare come grandi vini quelli solo bevibili, vini che magari hanno compiuto pochi mesi dalla vendemmia….. il vino invece è come l’uomo: ci vogliono anni perché diventi adulto e come minimo occorrono tre anni perché sia almeno digeribile.

Il dramma della viticoltura moderna è quello di ottenere il massimo al minimo costo. Ma per fare questo è stata indispensabile una tecnologia che ha distrutto tutto.

Nessuno insegna più a fare il vino buono, ma ad applicare una tecnologia che è solo funzionale all’industria.

 

La famiglia Bressan, ancora oggi, continua ad interpretare il vino come frutto di scrupolose tradizioni di mastri vinai che sapientemente uniscono l’antica scienza dell’enologia con metodi anteriori

   

alla moderna tecnologia, nel solco del rispetto di una lunghissima tradizione che rifiuta categoricamente quella modernità che tutto appiattisce.

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